mercoledì 31 dicembre 2008

TENEREZZA

Celeste, morbida, infìda tenerezza, come un piccolo nodo che alla gola mi toglie il fiato appena appena: un papillon d’incenso... Ti guardo ed hai l’età di un gioco antico, un legame d’infanzia, conoscenza di latte, di sangue, di madre che (ti) divento. Mi piace e mi confonde crescerti sulle rime delle mie rime in un frammento d’abbandono che ti concedi, breve, per ritornare in fretta alla coscienza, alla tua età, alla mia…

domenica 28 dicembre 2008

UN INCONTRO-da L'Isola Signora-Coppola -editore.2004

La piazza Politeama a Palermo, alle diciassette del pome­riggio. Oceano di gas disgustosi, uragano di clacson. Andavo di fretta senza neppure poter sbirciare la bellezza del teatro dalla quale ogni volta amerei rimanere soggiogata. Un ragazzino mi blocca il passo sul marciapiedi già poco praticabile: «... mi dà qualcosa, mille lire, ho fame..,». Tutti i giorni, ad ogni pie' sospinto, al centro, nella mia città si incontra gente che chiede qualcosa dichiarando d'aver fame: zingari, alcolizzati, immigrati d'oggi colore, invalidi, anziani. Come un marchio in più sulle coscienze sporche del con­sumismo, la città sfodera relitti umani tra pellicce, gioielli, arroganza e vanità e non puoi rispondere ad ogni invocazio­ne! Ma quel ragazzino fermo, risoluto, orgoglioso e dall'aria troppo adulta mi colpi: «Hai fame», domandai, «fame davve­ro?». «Sì», disse serio, «fame». E tacque, A pochi metri da noi uno dei bar più lussuosi della città, sfavillante di luci e panna montata, odorante di cioccolata pre­giata. Presi il ragazzo sotto braccio ed entrammo: «Ordina ciò che vuoi, un gelato, una pasta alla crema..». «Vorrei un panino con la carne». Glielo ordinai. Mangiava muto ed avido guardandomi ancora negli occhi. Avido ma composto, dignitosissimo. Poi bevve dell'acqua fresca. Gli chiesi se volesse qualco­s’altro. Si fece riluttante: «No, grazie, va bene cosi». Ma io compresi dai suoi occhi che indagavano sul bancone di rostic­ceria, che avrebbe desiderato continuare. Mangiò una pizzetta con vero gusto. Quando ci ritrovammo sul marciapiedi mi diede la mano: «Mi chiamo Mario, la voglio ringraziare». «Quanti anni hai?». «Dodici». «Vai a scuola?». «No, lavoro in officina, ma le sessantamila lire della settimana le do a mia madre che è vedova. Io sono capofamiglia. Ora la devo salutare e ancora grazie. Avevo veramente fame!». Sorrise finalmente, appena un attimo e poi sparì tra la folla. Mi vergognai moltissimo d'aver pensato per un attimo che quella fame fosse solo una scusa; di aver pensato, come tutti i superficiali egoisti che con le mie mille lire quel ragazzo avrebbe fatto illeciti acquisti di sigarette o droga. Mi vergognai persino del grande piacere che avevo prova­to vedendolo addentare il suo panino, come se avessi voluto prendermi una grande rivincita, come se avessi voluto dirgli "Hai detto che hai fame! Adesso mangia che tu ne abbia voglia o no!", con l'arroganza che è tipica di tutti coloro per cui man­giare tutti i giorni è cosa naturale, come respirare. Rimasi ferma sul marciapiedi mentre la gente mi spingeva. Nei giorni seguenti lo cercai, Mario, ma non mi è mai più capitato di vederlo. Se lo incontrassi vorrei chiedergli scusa.

giovedì 25 dicembre 2008

Scrivere per essere solo questo conta per me, nella mia vita. Essere per scrivere : la parola, chiarezza del nostro esistere umani

mercoledì 24 dicembre 2008

CARRETTINO DI LEGNO

Odio la luna che non c'è
questo rumore di ruggine moderna
dov'è la bocca del vulcano
dove la zattera...
Ascolto un suono di passato
carrettino di legno
metafora perduta.
Ingoio moltitudine d'uccelli
selvatici/parole.
Muti mi paiono i parlatori
del mio tempo.

domenica 21 dicembre 2008

PER SIMILITUDINE

PER SIMILITUDINE da Raccontiamo Palermo Nuova Ipsa Editore-1997 - Mia madre mi guarda, cerca di cogliere il segreto sul mio volto, il vero perché. Le ho appena comunicato di avere acquistato un appartamento del centro storico, in quello che fu uno splendido palazzo del’700, oggi devastato dal tempo e da una bomba americana che piovve dal cielo alla fine dell’ultima guerra. Devastato soprattutto dall’indifferenza, dalla dimenticanza, da una strana forma di cannibalismo che, con le pietre, si mangia la storia e la memoria. “Ma cos’è, dimmi, una malattia?” E si riferisce al fatto che prima ho vissuto a Piazza Marina ,quello che fu il ventricolo sinistro del cuore della città: altre scale, altre crepe e umidità tra i segni della bellezza ferita. Sorrido. Una malattia certo, ma non le rispondo come vorrei, non le dico che questa città è mia perché la amo nel suo “cuore amaro” giacché ha sopportato frammenti di speranza proiettati nella luce di una fede indomabile e disattesa. Noi siamo carne della stessa carne, egualmente ferite. E abbiamo giorni eguali d’impotenza. Io voglio che nulla ci separi, lei con le sue cancrene, io con la scompostezza tra i capelli, la mia incoscienza sulla fronte. Voglio vivere e con lei assistere alla disputa delle giornate eguali, insieme a ristorarci per una desolazione che ci affligge, per tanta fiducia mal riposta. Io parlerò di lei e lei di me, e i ciarlatani dovranno restare muti, i volgari e rapaci venditori di contraffazioni. Palermo e io e il silenzio della pal¬ma . Le nostre confidenze, un cicaleccio mite tra le pietre squarciate, un ritornello, un requiem. Una passione ardita, un complicato incesto. Io posso amarla e con l'amore farmene fardello. Ci apparteniamo per similitudine e specialmente fra le strade del centro storico fantasma, tra i palazzi che sbavano dolore. Abbiamo attese vane e sogni di ricostruzione da condividere. I tuoi sogni alle finestre spolverati e delusi dal sole. Le tue piaghe, purulenze dignitose. Mia sorella città! Le tue donne, i tuoi figli piccoli e corrosi, i giardinieri della tua malattia, vampiri del tuo collo, tronfi, arroganti, la tua bel¬lezza che mi uccide, la tua pelle invecchiata, il tuo oro, la santità, i grappoli di fiori, il mare rubato... Oh, mia compagna-veleno, mia voglia eguale di fuggirti e tornare! Mia gioia, mia malattia della pelle, mio succo di limone, mio parassita, mia fonte prosciugata! Mia assassina! Noi due incapaci di aiutarci, noi due lente a morire. Palermo mio lutto, campana scellerata, sovrana di ricchezze sparite, di gioielli appuntiti. Ci apparteniamo di diritto, di fatto, rinnegate, turlupinate, stuprate dalla morte. Noi scandalo del mondo, riservate e spietate di virtù sensuali, noi cifra incompleta dell'universo. Massacrate e ridenti orfane di padre, noi senza illibatezza. Noi due senza salvezza ci apparteniamo. Noi disturbiamo la tecnologia, siamo caos e desiderio. Noi troppo oneste persino per il sole. Io affogo, bella mia, nella desolazione; non ho compreso le regole del gioco, sopporto il peso della mia ostinazione, poeta di nessuna utilità. Tu sopporti i giochi della vanità dei tuoi figli, vagheggi la memoria del passato mentre, squarciata, mostri i segni umidi di antichi bisbigli e baci. Ci somigliamo. Ti canto senza sporcarti mai, spaccando le mie labbra sulle tue piaghe indurite dalla barbarie, sul tuo sangue di ogni giorno. Posso sputare sulla tua faccia stanca e inginocchiarmi sulle tue sere di pervinca, quando dai vicoli vocianti e sporchi piangi pietà sulla mia inadeguatezza... Ti amo, Palermo di profumi, mia sudicia vecchina, mio bimbo, mia violenta commovente, sempre in guerra e impotente di fronte a ogni potente che ti comanda. Ti amo perché mi lasci la libertà di odiarti, perché certi giorni mi calzi addosso come un vestito. Noi non ci lasceremo, mia nave arenata... La mangeremo insieme questa mela bacata, continueremo a digerirla. E questa è appartenenza. Non ti abbandono per rincorrermi nel grande specchio della vanità, né mi sarai salotto d'indecenza, né venderò qualcuno dei tuoi segreti. Per questo ti appartengo e mi appartieni. Perciò ti posso raccontare e sei mia e io sono tua. Senza pedaggio altro che l'amore, senza saccheggio. Vincoli naturali, maturati nel tempo del nostro incontro. Il sole unico che riconosco splende sulla tua fronte, io voglio il latte della tua saggezza e della tua indolenza. Tu, figlia dei barbari del mondo. Come piacere, come dovere, ti posso amare. «Cos'è, una malattia?» mia madre incalza. La sua domanda, lo sguardo indagatore. «Si, è una malattia. Palermo, quella vera, è tutta nel suo centro storico. Lì dove agonizza e lotta. È lì che mi scalda con il fiato della sua essenza».

martedì 16 dicembre 2008

PIANO SOTTERRANEO

- E’ andata!- si disse. Ogni volta così non appena le porte dell’ascensore le si chiudevano davanti la faccia. Poi, girandosi verso lo specchio, si rimirava con somma attenzione, quindi prendeva a farsi le boccacce: sorrisini, sorrisoni, cacciare fuori la lingua, controllare i depositi di nicotina sui denti. Veloci peregrinazioni sul proprio volto. E quando ce l’ha una il tempo di guardarsi allo specchio? In ascensore ti accorgi che agli angoli degli occhi si sono depositate , giorno dopo giorno, orribili, minuscole ragnatele di delusione. Ma poi, in fondo, che cos’è tutto il dolore del mondo se non una continua, smisurata delusione! Sospirò. Pensò che le scocciava molto, dopo una giornata di lavoro, tornare a casa dovendo, a tutti i costi, incontrare lungo il tragitto l’imbecillità collettiva del venerdì sera che talvolta è persino più irritante di quella del sabato! Aveva perciò indugiato alla sua scrivania di notaio, per aspettare che il mondo si spopolasse un po’, si alleggerisse della piccola barbarie del fine settimana. Pensò : - Domani non di lavora- E nessun entusiasmo la pervase. Cosa farsene di due giorni colmi solo di riviste da sfogliare, tv, pranzo dalla mamma…Pensò di essersi dimenticata, ancora una volta di pagare la sua quota per le spese condominiali. Era in ritardo di due settimane, e che a quell’ora non avrebbe più trovato aperta la portineria. Pensò… D’un tratto s’accorse di aver pensato troppo per il tempo breve di tre piani a scendere e subito dopo, con un soprassalto si rese conto di essere in ascensore da parecchi minuti. - Che diavolo sta succedendo? Com’è che non si ferma? – Guardò la tastiera dei comandi. Le lucette si accendevano alternativamente come quelle dell’albero di Natale: il 2, poi il 7, quindi il 4 e talvolta anche lo 0. Ma allo zero l’ascensore non si fermava, continuava a scendere a velocità costante. Allarmata pressò il pulsante dell’allarme ma non lo sentì suonare, quello dell’ ALT ma non sortì risultato. L’ascensore aveva smesso di andare su e giù e continuava a scendere verso una profondità ignota, un piano sconosciuto con un segno meno davanti. Che fare? Pensò che non le riusciva più di pensare. Si impose di credere di star vivendo uno dei suo frequenti incubi. Serrò gli occhi decisa: - Così ora mi sveglio e non se ne parla più! - ma quando mai! Le porte dell’ascensore continuavano a restare sprangate davanti alla sua faccia chiusa, serrata in una smorfia di panico. Avvertì di essere pallidissima e gelata. Non osava volgersi verso lo specchio per non essere costretta a guardare i segni della paura sul proprio volto. Doveva fare qualcosa. Ma cosa fai quando non capisci ciò che ti sta accadendo? Capire, del resto, era proprio impossibile. E intanto il viaggio continuava da parecchi minuti. - Insomma, volendo ragionare, non è possibile! Più in basso del piano terra c’è…c’è solo terra, poi ancora terra…Com’è che questo coso non si ferma? Così attraversiamo il globo e ne raggiungiamo il centro… No che non è possibile! Troverebbe ostacoli. Mica c’è un tunnel verticale sotto questo palazzo! Ma che discorsi, ci lavoro da vent’anni, lo saprei se ci fosse…- L’ascensore procedeva quieto. I minuti scorrevano sempre più inquietanti , l’aria sembrava non essere più sufficiente: - Potrei soffocare qui senza capire cosa diavolo sta accadendo. Non ci sto. Non ha senso. Non mi piacciono le cose che non hanno senso! Se fossi rimasta bloccata dentro un ascensore fermo, saprei cosa fare: ho visto un film e so come ci si comporta… Una volta è successo a Filippo e anche a mia sorella. Non bisogna fumare né urlare, né respirare affannosamente. Non perdere la calma e star fermi, ché prima o poi qualcuno verrà a salvarti…. – L’ascensore andava come un treno della metropolitana capovolto. Rapido e deciso. - Saranno quei maledetti film di fantascienza che guardo la notte. Forse sono non passati che pochi secondi ed io sto solo immaginando tutto questo. Ma si! Di certo accade perché tengo la mia fantasia nel ripostiglio, sempre imbrigliata, sacrificata, mortificata. Me ne dimentico, è come se non ne fossi fornita e all’improvviso mi gioca questi scherzi, mi coglie di sorpresa, mi prende la mano..- Si rasserenò di colpo. A questo pensiero smise di tremare. Si ravviò i capelli. Pensò - Ora mi guardo allo specchio…- Ma non ebbe il tempo di girarsi. L’ascensore di colpo si era fermato. Le porte si spalancarono e in un luogo non bene identificato, eppure in qualche modo noto, scorse un altra se stessa. La stava aspettando sorridente. Sorridendo le corse incontro.

martedì 9 dicembre 2008

LA RETE E'

La rete tace eppure è piena di voci.Bisbigli, grida, risate, grugniti. E poi provocazioni, speranze, ira. Immagino , mi sforzo, sono troppe. Immagino i volti, mi sforzo, sono troppi. Chini sulla tastiera, il mouse somatizzato, parte integrante della mano, le cervicali in sovraccarico, i colli e le teste rigidi davanti a uno schermo che è mondo altro, inimmaginabile, segreto eppure accessibile. La rete è pulitissima e sporca, è l'universo dei sogni infantili popolato da un popolo invisibile che non c'è, eppure c'è! La rete cuce tra di loro le stelle, è una tela che riveste il mondo, è trappola e trapezio per l'infinito. Nella rete si vola, si corre, ci si incontra, ci si sfugge, ci si ritrova, ci si perde. Nella rete ci si ama e ci si odia. Tra le sue strade e le sue piazze si intavolano legami e patti, si sciolgono promesse. Personaggi grotteschi e teneri, lucidi e smarriti, laidi e poeti. Questi ultimi lanciano parole di vento, e la eco che essi producono si interseca al respiro delle meteore. Altri, sordidi , imbastiscono oscuri commerci, vendono la sporcizia del mondo, tra i bianchi mercati delle nuvole, rintanati nell'anonimato, briganti della luna. Sporcano la via lattea e il suo candore luminoso. I timidi amorosi cospargano di "m'ama - non m'ama?…" i sentieri dell'infinito sfogliando margherite in RTF , densi di cuori gonfi di attesa, di sorrisi, di voglia di miracolo. La rete è rete di speranze, della meraviglia di incontri con le lettere maiuscole, straordinari ed eterni. Per i buoni è l'espandersi del cuore buono del mondo. Per i malvagi è l'espandersi dell'anima nera del mondo. La Rete è. Invisibile agli occhi, eppure visibile sul piccolo libro virtuale, la finestra pc che su di essa si apre e si chiude, come uno scrigno incantevole e segreto. Straordinaria luminescente, colorata, caleidoscopica…Ha bisogno di parole magiche perché si apra, di piccoli riti, è la misura della solitudine di ciascuno che vi acceda, oppure della sua capacità di rapportarsi col mondo, a braccia aperte. E' utile e banale, volgare e saggia, contiene storia, scienza, arte, parolacce, grossolanità in forma di gif… La RETE c'è, esiste e non si tocca con mano, eppure possiede strade astratte, con indirizzi e caselle della posta che immaginiamo colorate davanti a case che sono i l'anima e la mente di chi riceve le nostre e-mail. "…ci incontriamo sulla grande rete!" . Risuona sempre più frequente l'appuntamento, lì in quello spazio, tra comete antichissime e luminose. Nel grande silenzio, nel grande vuoto, i cuori degli uomini si espandono, si testimoniano, tentando, forse, di sentirsi più vicini a Dio.

lunedì 8 dicembre 2008

FABIO, FABULA

FABIO- FABULA- FORSE -FORZA RABBIA- INTANTO INCANTO TI VINCE E IL CANTO TUO D'ARMI D'AMORI E CAVALIERI: CAVALLI VENTO, POTENZA CRINIERE E DONNE -CULLE E FALENE- E DEI CONTORTI RISVOLTI E VIZI, PASSIONI, TENSIONI... DESIDERIO DI CIELO, VOLUTTA' DI ANGELI CADUTI, E I TRATTI DELLA MADRE, LABIRINTO DEL BANDOLO SMARRITO E I SEGRETI DELLE STAGIONI LA CONTORTA MISURA DEL GELO, IL SOGNO DEL TEPORE IL SUBLIME GRIDO DEL SILENZIO... FABIO! L'IMPASTO E' DIVINA, SBOCCATA CONCEZIONE DI PUREZZA E' IL VIALE OMBRATO ED AMBRATO DELL'INFANZIA E' LA FIAMMA VITALE DEL TUO PICCOLO INFERNO QUOTIDIANO E', INFINE, TUTTI I VOLTI DEL DOLORE dedicata allo scultore/pittore Fabio Spacca- artista vero...

mercoledì 3 dicembre 2008

Ma dove siete?

...Se qualcuno mi desse una mano! Impacciata mi muovo, le cervicali chiedono giustizia! Rigido il collo, gli occhi stanchi...cercare, trovare, gli altri, lo scambio. L'aria è fredda, il sole sfavilla. Sicilia canta dal basilico del mio balcone, ancora ridente di foglie. Ho perso molte cose, però mai il gusto della parola , mentre accendo sigarette e spengo caffè al fondo della colite . Le notti sono tutte malate di pensieri molesti, i colombi si svegliano dopo di me, col loro tubare e tubare e tubare. Che volevo dire? Ah si, che mi sento nel deserto... Dove siete?

martedì 2 dicembre 2008

Ciao, timidamente comincio...

Adoro scrivere (ma leggere altrettanto!) Adoro la parola che è esistenza. Il mio motto è: "QUANTE PIU' PAROLE HAI...TANTO PIU' SOMIGLI A TE STESSO E AL MONDO" Mi presento, sono Marilena Monti, scrivo da quanto avevo 8 anni e...non ho smesso mai più! Di professione...tante cose tutto rigorosamente in ambito artistico, dalla scrittura alla musica, al teatro, alla recitazione,alla... Beh, credo che come biglietto da visita sia sufficiente! A presto, mondo della-nella grande rete!