giovedì 29 gennaio 2009

CHE FAI?

Che fai, mela ridente,
in questo sabato chiaro in cui confusi le caldarroste e i gelsomini frammischiano stagioni e poesie s’affastellano, s’accatastano lune, la voglia di nuotare nei tuoi occhi, gli spruzzi di parole … In un cantuccio del tuo sorriso conservo le farfalle, le mie stelle di mare.

giovedì 22 gennaio 2009

ONDA VERDE

Esco dalla Rai. Sabato sera, 22,30. Ho lavorato. Otto ore e trentacinque. Non è poco, specie se penso che presto la struttura di programmi della Rai siciliana chiude. Lo hanno deciso a Roma. Lo hanno deciso i mafiosi di Roma e quelli di Palermo. Sono stanca. Salgo in auto, accendo la radio unico antidoto alla noia dei semafori rossi, della febbre del sabato sera del prossimo mio fannullone, delle cuciture dell’asfalto che numerose mi infliggono “microtraumi irreversibili” alla schiena. Il primo semaforo di viale Strasburgo è verde. Sarà la prima volta in un anno! Che bella sorpresa! Accelero, ingrano la terza, VOLO! E quale non è la mia meraviglia : anche quello all’incrocio con via Valdemone è verde, e quello con la via Lazio... Ma cos’è la mia serata fortunata? Procedo. Adesso la radio mi canta un ritmo scorrevole , una felicità di andare quasi senza ostacoli. Io odio guidare in questa città dove è impossibile “andare”, dove si sta fermi per ore ,in auto, a respirare ossido di carbonio e claustrofobia. E invece questo sabato sera è verde... Posso cominciare il mio viaggio a Palermo. Anche il semaforo di piazza Virgilio e quello di piazza Politeama e di via Cavour... Sogno o son desta? Sogno. Ecco, ci risiamo. Ho ricominciato a sognare. Di colpo la stanchezza è sparita, di colpo mi dimentico che ormai è obbligatorio soffrire in questa città senza speranze. In questa città dove la tangente la paghi anche soltanto in disgusto, stanchezza, attese snervanti. Ci ricasco, m’innamoro, l’onda verde mi consente di percorrere questa metropoli come dovrebbe sempre essere e non è mai. Scivolo lieta, senza ostacoli, portando in giro la mia sera per le strade belle che ormai non guardo più, non trovo più! Giro per ben tre volte attorno al teatro Massimo, balliamo il valzer , la musica è nel cuore, siamo protagonisti solitari, sopravvissuti... Ci ritroviamo dopo l’ assenza delle ore di punta, del sempre, del “non si posteggia neanche a pagare”, della doppia e della tripla fila. Verde il semaforo della via Maqueda e quella del Cassaro. . Che allegria! Apro il finestrino, respiro. Ho avuto una sorta di lasciapassare dalla città incantata. Come ci separano, sempre ci separano! E tu sei sempre eguale: superba e impotente. Quando piangi? Di notte, o in queste rare tregue in cui solitaria e amara ti specchi negli occhi miei commossi... Vedo, sbocconcellata la tua bellezza., ogni volta un morso in più sulla tua pelle. I palazzi, i monumenti, le chiese: crepe, fuliggine, incuria. Io ti percorro e come ogni volta che ti vedo mi innamori e mi addolori. E per questo non posso fermarmi. Vado lentamente, l’onda verde non si interrompe, scorgo un paradiso, respiro la torbida bellezza della tua solitudine e penso che ogni tuo cittadino dovrebbe avere almeno una volta l’occasione di esplorarti come sto facendo io, in una quiete rubata alla perenne confusione. Vado ad affondarmi sempre più nel tuo cuore. Sono nella Piazza Marina e alla Magione e infine scorgo il tuo mare ignoto, il tuo mare che non è mare perché ognuno gli volge le spalle. Misuro la mia ostinazione insensata d’amarti. Rispondi stupenda, mi parli, confidi una pena, sei umana. Ti ho odiata, ti odio al mattino, rumore d’inferno, volgare sopruso, violenza. Ma oggi il miracolo è nostro. Facciamo una festa, possiamo brindare noi due solitarie. Il giro continua: ricchezza e rovina.. Ritorno e ritorno, risalgo e riscendo , non posso saziarmi. Infine mi fermo. Nell’ombra fresca dell’androne della casa in cui vivo, gli occhi lampeggiano ancora azzurri dorati. Mi pento delle imprecazioni aspre e quotidiane, e dei cattivi pensieri, di quando ti urlo rancore, di quando ti minaccio che andrò via, di quando ti dichiaro che mi uccidi... E’ stato bellissimo il viaggio. Mi chiedo se possa bastare talmente poco, una serie di semafori verdi casualmente in fila, per farmi sentire che questa Palermo avvilita da mortali lacci di vergogna, caos, aggressività, possa sorridere ancora viva : per farmi sentire che non vuol morire.

domenica 18 gennaio 2009

GUARDARTI

Le unghie guardo della tua mano e poi la fronte, torno ancora alla fronte e poi la tasca dove scivoli i pensieri; dopo la fronte ancora e poi il sorriso guardo... Cercando di scoprire il nucleo di diamante del tuo pensiero.

venerdì 9 gennaio 2009

A SELINUNTE,UN BIGLIETTO PER LA BELLEZZA

da: "L’Isola Signora"- Coppola editore– 2^edizione-2004 - Sono tornata a Selinunte dopo più di 15 anni. I templi, la cittadella. E tutti a scoraggiarmi: «Non vi si può più accede¬re, stanno costruendo le dune, i lavori in corso, ancora ne passerà di tempo!». La mia frenesia. Mi prende così, a caso, la smania di rivedere un luogo, la memoria ripesca senza alcun criterio dai suoi archivi, crea nuovi e vecchi desideri. E all'improvviso mi son trovata a ricordare Selinunte. Ad averne nostalgia. La nostalgia, quel sentimento che nutre e dispera. Ricordare le mie corse sul motorino, col vento in faccia, con la primavera tra i capelli. Quei pomeriggi solari, quei percorsi azzurrissimi, sentieri di acacia in fiore e ginestre premature e tutti i profumi della campagna misti alla fragranza sala¬ta del "greco mare". Era un'ebbrezza straordinaria, era la fine del liceo, era la sensazione di essere sufficientemente adulta da poter cogliere e capire tutta la magnificenza di quei luoghi noti sin dalla prima infanzia. Erano cresciuti nei miei occhi di bambina quei templi. Immensi e quasi temibili, sublimi in una essenzialità che non riuscivo a decifrare né ad esprimere. Mi sembravano, comunque, perfettamente funzionali a qualcosa di grande: la fede di quei popoli che li avevano costruiti. Ciò mi rendeva enorme il piacere della contemplazione delle rovine, delle ipotesi, della storia, della intensità delle cose. Quando poi, più grande, ci tornavo con il mio motorino e senza la mano rassicurante di mio padre a condurmi, sentivo ancora più forti quelle sensazioni dell'infanzia. Sentivo che qualcosa di ancora più misterioso era custodito tra le antiche pietre dei templi e della cittadella. Mi fermavo per ore a guardare il mare buono senza più attesa di nemici invasori, e mi sentivo appartenere all'anima comune dell'umanità che ha attraversato la vita. Ci sono tornata, a Selinunte, dopo più di 15 anni. Un pomeriggio di luglio. L'afa poggiata sulle cose, la luce sfibrante, l'estate in trionfo. L'antica via d'accesso alla zona archeologica è ormai inesistente. Giravo per una strada nuova e non mi riusciva d'approdare là dove il mio desiderio voleva portarmi: «...Non c'è più possibilità, stanno costruendo le dune artificiali per circondarla, poi vi saranno una serie di percorsi obbligatori, dei tunnel e delle porte attraverso cui si potranno guardare i templi!». Solo da uno scorcio rimasto libero riesco a vedere, o forse solo a intravedere uno dei templi, ancora in parte intatto, sublime nella sua austerità. Provo un tuffo al cuore. Vorrei ma non posso più raggiungerlo. «Perché?», chiedo, «perché tutto questo!». «Perché così la gente per entrare, per vedere, dovrà pagare il biglietto. Un grosso guadagno, servirà in parte alla manutenzione stessa della città archeologica». Provo un sentimento di frustrazione in più. La nostalgia si trasforma in boccone amaro. Un percorso obbligato a togliere spontaneità, fervore, al desiderio di ricongiungersi al passato e alla storia attraverso le antiche testimonianze di pietra. Non credo che tornerò quando i tunnel ed i percorsi obbligati saranno pronti, semmai mi limiterò a guardare da quell'unico angolo libero da false dune, l'unico tempio visibile. Così, da lontano, con quelle lontananze obbligate che l'uomo di oggi frappone fra sé e le emozioni, per futili motivi.

giovedì 1 gennaio 2009

UNA RECENSIONE a Viaggio di cuore di LallaFalilulela- Ho letto un libro che mi è piaciuto molto. L'autrice, Marilena Monti, incentra la storia del protagonista, il poetico, incantato e fragile Ugo, professore di lettere in un liceo, sullo scontro/incontro del protagonista con sé stesso e sulla descrizione del viaggio, che quasi tutti, prima o poi, siamo costretti a fare alla ricerca di noi stessi. La motivazione dell'angoscia che deborda, travalicando i limiti della sostenibilità e obbligando il protagonista a escogitare ogni possibile tecnica di sopravvivenza, é un trapianto di cuore che, se inizialmente consente la creazione di un alibi, subito dopo non permette che a quell'alibi ci si aggrappi, facendolo a pezzi, scardinandone le fondamenta e travolgendo in questa furia anche il protagonista. Muri di parole, aspre e forti, si ergono a inutile difesa di una parvenza di vita ferita da dolori antichi e rancori incancreniti, mentre il viaggio diventa fuga e ricerca di un oblio irraggiungibile. La scrittura calda e piena, ricca fino all'opulenza, della scrittrice si fa serrata e incalzante, svelando non soltanto angoli di Sicilia ubriachi di sole, ma anche scelte e sentimenti, sprofondati a viva forza nel buio della dimenticanza che, riemergendo, a spizzichi e bocconi, di luogo in luogo, di ricordo in ricordo... Non vi anticipo il finale. Imprevedibile! Pubblicato da Lalla Falilulela a 4.04 0 commenti Etichette: Marilena Monti: Viaggio di cuore