domenica 21 dicembre 2008

PER SIMILITUDINE

PER SIMILITUDINE da Raccontiamo Palermo Nuova Ipsa Editore-1997 - Mia madre mi guarda, cerca di cogliere il segreto sul mio volto, il vero perché. Le ho appena comunicato di avere acquistato un appartamento del centro storico, in quello che fu uno splendido palazzo del’700, oggi devastato dal tempo e da una bomba americana che piovve dal cielo alla fine dell’ultima guerra. Devastato soprattutto dall’indifferenza, dalla dimenticanza, da una strana forma di cannibalismo che, con le pietre, si mangia la storia e la memoria. “Ma cos’è, dimmi, una malattia?” E si riferisce al fatto che prima ho vissuto a Piazza Marina ,quello che fu il ventricolo sinistro del cuore della città: altre scale, altre crepe e umidità tra i segni della bellezza ferita. Sorrido. Una malattia certo, ma non le rispondo come vorrei, non le dico che questa città è mia perché la amo nel suo “cuore amaro” giacché ha sopportato frammenti di speranza proiettati nella luce di una fede indomabile e disattesa. Noi siamo carne della stessa carne, egualmente ferite. E abbiamo giorni eguali d’impotenza. Io voglio che nulla ci separi, lei con le sue cancrene, io con la scompostezza tra i capelli, la mia incoscienza sulla fronte. Voglio vivere e con lei assistere alla disputa delle giornate eguali, insieme a ristorarci per una desolazione che ci affligge, per tanta fiducia mal riposta. Io parlerò di lei e lei di me, e i ciarlatani dovranno restare muti, i volgari e rapaci venditori di contraffazioni. Palermo e io e il silenzio della pal¬ma . Le nostre confidenze, un cicaleccio mite tra le pietre squarciate, un ritornello, un requiem. Una passione ardita, un complicato incesto. Io posso amarla e con l'amore farmene fardello. Ci apparteniamo per similitudine e specialmente fra le strade del centro storico fantasma, tra i palazzi che sbavano dolore. Abbiamo attese vane e sogni di ricostruzione da condividere. I tuoi sogni alle finestre spolverati e delusi dal sole. Le tue piaghe, purulenze dignitose. Mia sorella città! Le tue donne, i tuoi figli piccoli e corrosi, i giardinieri della tua malattia, vampiri del tuo collo, tronfi, arroganti, la tua bel¬lezza che mi uccide, la tua pelle invecchiata, il tuo oro, la santità, i grappoli di fiori, il mare rubato... Oh, mia compagna-veleno, mia voglia eguale di fuggirti e tornare! Mia gioia, mia malattia della pelle, mio succo di limone, mio parassita, mia fonte prosciugata! Mia assassina! Noi due incapaci di aiutarci, noi due lente a morire. Palermo mio lutto, campana scellerata, sovrana di ricchezze sparite, di gioielli appuntiti. Ci apparteniamo di diritto, di fatto, rinnegate, turlupinate, stuprate dalla morte. Noi scandalo del mondo, riservate e spietate di virtù sensuali, noi cifra incompleta dell'universo. Massacrate e ridenti orfane di padre, noi senza illibatezza. Noi due senza salvezza ci apparteniamo. Noi disturbiamo la tecnologia, siamo caos e desiderio. Noi troppo oneste persino per il sole. Io affogo, bella mia, nella desolazione; non ho compreso le regole del gioco, sopporto il peso della mia ostinazione, poeta di nessuna utilità. Tu sopporti i giochi della vanità dei tuoi figli, vagheggi la memoria del passato mentre, squarciata, mostri i segni umidi di antichi bisbigli e baci. Ci somigliamo. Ti canto senza sporcarti mai, spaccando le mie labbra sulle tue piaghe indurite dalla barbarie, sul tuo sangue di ogni giorno. Posso sputare sulla tua faccia stanca e inginocchiarmi sulle tue sere di pervinca, quando dai vicoli vocianti e sporchi piangi pietà sulla mia inadeguatezza... Ti amo, Palermo di profumi, mia sudicia vecchina, mio bimbo, mia violenta commovente, sempre in guerra e impotente di fronte a ogni potente che ti comanda. Ti amo perché mi lasci la libertà di odiarti, perché certi giorni mi calzi addosso come un vestito. Noi non ci lasceremo, mia nave arenata... La mangeremo insieme questa mela bacata, continueremo a digerirla. E questa è appartenenza. Non ti abbandono per rincorrermi nel grande specchio della vanità, né mi sarai salotto d'indecenza, né venderò qualcuno dei tuoi segreti. Per questo ti appartengo e mi appartieni. Perciò ti posso raccontare e sei mia e io sono tua. Senza pedaggio altro che l'amore, senza saccheggio. Vincoli naturali, maturati nel tempo del nostro incontro. Il sole unico che riconosco splende sulla tua fronte, io voglio il latte della tua saggezza e della tua indolenza. Tu, figlia dei barbari del mondo. Come piacere, come dovere, ti posso amare. «Cos'è, una malattia?» mia madre incalza. La sua domanda, lo sguardo indagatore. «Si, è una malattia. Palermo, quella vera, è tutta nel suo centro storico. Lì dove agonizza e lotta. È lì che mi scalda con il fiato della sua essenza».

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Dall'amore che nutri per la tua Palermo emerge un sentimento di cui si e' perduto il signicato più profondo: il senso di appartenenza.
Grazie per averlo trasmesso e ricordato a tutti noi!

marilena monti ha detto...

Appartenza, si, totale e a volte disperata. Ma è così che vivo le cose, con interezza assoluta. Non è semplice e , a tratti, tutto ciò pesa...Ma così è-
Grazie a te per aver raccolto il senso profondo di questo grido d'amore.

Falilulela ha detto...

Marilena in Palermo si specchia, si riconosce, si odia, si curva pietosa e si rialza. Fiera di appartenerle.
Stanca di perdersi e stupita di ritrovarsi, vive la sua città con l'inesausta passione di un'amante.

Raimondo Raneri ha detto...

Pelle della nostra pelle, le mura antiche che trasudano storiche emozioni, sangue del nostro sangue le lacrime di una città ferità, trafitta poichè tradita da mille e mille perseveranti colpevoli, anima della nostra anima la speranza...mai doma di chi come noi anela un futuro di amore, semplicemente amore per la "Bella straziata"...similitudine fra te e Palermo, similitudine fra te e me...milioni di similitudini ...per Palermo...Ciao